«L’opera umana più bella è di essere utile al prossimo»
(Sofocle)
Se non parli, se non trovi la forza per farlo, tutte quelle parole non dette si accumulano e finiscono con il trasformarsi in una massa nera che ti schiaccia e ti toglie letteralmente il respiro. Io il coraggio di parlare non sono riuscito a trovarlo, ho provato, ma il silenzio ha sempre avuto la meglio e il troppo silenzio ha finito con il cancellarmi qualsiasi orizzonte. Navigo a vista da tre mesi e adesso non ne posso veramente più.
Matteo
Sapete una cosa? L’assenza di speranza assomiglia al capolinea di un autobus, oltre non c’è più nulla e allora resti immobile, del tutto incapace di compiere qualsiasi azione, o meglio, una cosa che potresti fare esiste, eccome se esiste e cioè farla finita. Game over. Nel mio essere vivo non scorgo più tracce di vita e quindi dove posso scovare le risorse per andare avanti? Vivo al terzo piano, il balcone è separato dal cortile di cemento da circa quindici metri, un salto da due o tre secondi, non di più. Probabilmente quei tre secondi potrebbero essere sufficienti per venire a capo di questa angoscia che non ha orizzonti. E dire che in quel cortile che adesso osservo dall’alto sono stato un bambino felice che si divertiva a calciare palloni, non avevo nulla di cui vergognarmi, ero senza macchie, leggero come una piuma e spensierato, ora invece è proprio la vergogna ad annientarmi. L’unica verità che possiedo è che questa “non vita” mi risulta insopportabile. L’idea che papà e mamma vengano a conoscenza di tutto quello che è avvenuto non è accettabile, come non è accettabile che anche a scuola sappiano in quale casino mi sono infilato. Per la prima volta nei miei diciassette anni mi sono reso conto che la reputazione è il solo vestito decente che possiamo indossare, e se ti levano di dosso quell’abito tu rimani nudo e vulnerabile di fronte agli occhi del mondo, e questo io non posso accettarlo. Beh, prima di chiudere il sipario una cosa voglio farla, accendere il computer e scrivere di getto i motivi che mi hanno condotto a prendere in considerazione l’ipotesi di farla finita, è bene che almeno qualcuno sappia con dovizia di particolari le motivazioni che mi hanno condotto fino a quel balcone che si trova a due metri dalla mia stanzetta. Scriverò al Commissariato Online. Li considero credibili, sicuramente non distorceranno i fatti e poi conoscono molto bene le cause della mia angoscia, tempo fa erano venuti dei poliziotti a scuola per parlarci dei pericoli online e del cyberbullismo e mi aveva molto colpito il fatto che non avevano espresso alcun giudizio. Si, racconterò con una e-mail la mia storia al Commissariato Online, mi sembra l’idea migliore, è a loro che voglio affidare la verità inconfessabile che mi perseguita. E-mail indirizzata al Commissariato Online «Salve, mi chiamo Matteo, frequento la quarta superiore e ho deciso di farla finita, il motivo è piuttosto semplice, non sarei in grado di affrontare tutto quello che molto presto verrà alla luce, ecco, quando ciò accadrà preferirei non esserci. Troppo dolore e soprattutto troppa vergogna. Tutto è iniziato la scorsa estate quando ho cominciato a chattare con una ragazza di una città del nord Italia. Vi garantisco che mai nessuno era stato in grado di comprendermi come lei. Ho pensato di affidarle i miei pensieri più intimi e lei ha fatto la stessa cosa. Il nostro rapporto virtuale di giorno in giorno si è evoluto e a un certo punto abbiamo iniziato a scambiarci dei video. Inizialmente erano abbastanza innocenti ma poi mi sono lasciato andare, lei chiedeva, mi supplicava in quanto diceva che certe cose la facevano impazzire d’amore e io l’ho assecondata in tutto e per tutto. Naturalmente si trattava di video sessualmente sempre più espliciti e che alla fine sono diventati molto molto intimi, ma io mi fidavo ciecamente. La prima volta che Erika mi ha ricattato ho subito pensato ad uno scherzo, era impossibile che la mia dolce Erika potesse solo immaginare qualcosa del genere, ma poi ecco che il paradiso si è trasformato bruscamente in un inferno. Ed è stato l’inizio della fine. Erika non è mai esistita e i suoi video hard, se fossi stato scaltro, li avrei potuti trovare pubblicati online su vari siti pornografici, invece le cose sono andate diversamente. Chi si era finto Erika non ha mai avuto un briciolo di pietà: le sue richieste hanno iniziato a perseguitarmi in maniera implacabile. Da una parte avrei voluto non aprire mai quella chat maledetta, ma dall’altra parte ero conscio che, se non gli avessi risposto, sarebbe stata la fine. Ero una mosca finita sotto un bicchiere, nessuna via di fuga.
Ho pagato quello che chiedevano o mi chiedeva, perché tuttora non so se fosse una sola persona o un’organizzazione a condurre quel gioco feroce basato sull’estorsione, io pagavo cercando disperatamente di rispettare le loro scadenze ma loro poi tornavano all’attacco minacciandomi di pubblicare quei video. Dicevano che sarebbe stata la mia fine e che quel marchio mi sarebbe rimasto appiccicato per sempre. Mi spiegavano che una volta pubblicati nessuno avrebbe mai più potuto cancellare quei video. La cosa incredibile è che io ero perfettamente consapevole di tutto ciò, anche la Polizia quel famoso giorno a scuola ce lo aveva ripetuto in tutte le lingue, eppure ci sono cascato come un pivello. Non avevano un volto, per me erano il diavolo e basta. E più cose vendevo, più aumentavano le menzogne, i sensi di colpa e la vergogna nei confronti delle persone a cui voglio più bene. Ho cercato di nascondermi costruendo un castello di bugie ma non è servito a nulla. Ora è troppo tardi. Spero che questo mio dramma possa servire ad altri. Non fidatevi mai di chi non conoscete, non condividete mai delle vostre immagini intime, perché molto probabilmente vi state rovinando la vita con le vostre stesse mani. Grazie per avermi ascoltato. M.». Massimiliano (operatore presso il Commissariato Online) Il turno è iniziato da neppure un’ora, Massimiliano legge con attenzione l’e-mail inviata da un certo Matteo, è piuttosto lunga e alla fine la rilegge in maniera rapida per verificare che non gli sia sfuggito nulla. Anni di esperienza gli fanno capire che non si trova di fronte a uno scherzo o alle parole di un mitomane, quel ragazzo è veramente disperato. Ogni giorno sono centinaia le e-mail che arrivano al Commissariato Online della Polizia di Stato e ognuna viene vagliata e analizzata quasi in tempo reale. Già, il tempo, molto spesso la corsa è proprio contro di lui e in questa circostanza non ci sono dubbi, bisogna agire immediatamente. Massimiliano è papà di un ragazzo adolescente e per hobby fa l’allenatore di calcio, i giovani li ha nel cuore da sempre e le parole di Matteo sono vetri affilati, comprende in pieno la sofferenza che si nasconde dietro ogni singola lettera ma in certi momenti esiste solo una regola, chiudere sottochiave i sentimenti ed entrare in azione. Chiama a voce alta Giovanni che è a capo del turno, assieme rileggono l’e-mail e dopo neppure un minuto è il Capo Turno stesso assieme a un collega a tentare attraverso quella e-mail di risalire alle generalità di chi l’ha scritta. Bisogna verificare che sia tutto vero e soprattutto serve disperatamente un numero di telefono. Non è rispondendo a quella e-mail che è possibile immaginare di convincere il ragazzo a non togliersi la vita. In certe situazioni è come se si agisse in apnea, ogni singola azione, ogni singolo pensiero è mirato a intervenire nella maniera più rapida ed efficace possibile. Non esiste altro. Ottimo lavoro. Tempo quattro minuti scarsi e il Capo Turno è riuscito a risalire all’identità del ragazzo e, cosa fondamentale, al suo numero di telefono. È una partita a scacchi che non prevede la possibilità di errori e soprattutto non esiste un tempo infinito per prendere le decisioni. Da una parte c’è la vita e dall’altra la morte, o si vince o si perde e, per quanto si sia preparati, quando di mezzo c’è il futuro di un ragazzo diciottenne, lo stomaco si stringe e l’adrenalina entra in circolo senza chiedere permesso. Lucidità, occorre innanzitutto lucidità, e questa è figlia anche di anni di esperienza e di situazioni drammatiche vissute in tempo reale. Bisogna agire senza sbagliare neppure un passaggio. «Tu chiama il ragazzo e vediamo se risponde – dice Giovanni a Massimiliano – io ho già allertato i colleghi del Pronto Intervento, la volante è già partita, ora li chiamo per spiegargli nel dettaglio la situazione». La città dove vive Matteo è distante centinaia di chilometri dal Commissariato Online che si trova a Roma, ma grazie alla tecnologia e alla perfetta macchina organizzativa le distanze vengono praticamente azzerate. Massimiliano ha sangue freddo e non potrebbe essere altrimenti, ma non è semplice controllare le pulsazioni del cuore. La speranza è che Matteo risponda, la speranza è che non sia troppo tardi, altro non è possibile fare. Mentre compone il numero Massimiliano si concentra, conosce le regole del gioco, una parola sbagliata, una semplice indecisione e tutto potrebbe venire compromesso. Dovrà mantenere un tono di voce tranquillo e rassicurante, dovrà parlare con il cuore usando però il cervello, dovrà essere poliziotto, amico e padre. Fortunatamente il telefono squilla, già questa è una buona notizia, resta solo da attendere. Due, tre, quattro squilli e poi alla fine qualcuno dall’altra parte dice «Pronto» con un filo di voce. «Matteo?» «Si, sono io, chi parla?» «Matteo, sono Massimiliano, ti parlo dal Commissariato Online e ho appena finito di leggere la tua e-mail. Sei stato coraggioso a scriverci, complimenti. E adesso parliamo un po’…» È bravissimo Massimiliano nel riuscire a mantenere viva la conversazione ed è soprattutto straordinaria la maniera in cui, senza darlo a vedere, convince Matteo a scrollarsi di dosso il peso insostenibile di quella storia che non aveva mai condiviso con nessuno. Bastano poche domande fatte al momento giusto e qualche piccola considerazione buttata lì con apparente casualità, per fare in modo che Matteo tra una lacrima e l’altra inizi a raccontare. Viene travolto dalle sue stesse parole che finalmente possono uscire all’aria aperta accompagnate dalle lacrime. È una liberazione. Ancora però Massimiliano è ben conscio che non ci si può distrarre, in certi attimi dove le emozioni sono in balìa del vento potrebbe bastare molto poco per vanificare tanto lavoro. Bisogna guadagnare tempo, Massimiliano parla a Matteo di calcio, gli chiede che passioni abbia, gli racconta episodi della sua vita, anche lui, spiega a Matteo, una volta si era trovato in una situazione imbarazzante, ma poi ne aveva parlato con gli amici giusti e tutto si era risolto. «Tutto si risolve Matteo – dice Massimiliano – basta parlarne con le persone giuste». Improvvisamente cade la linea. Massimiliano osserva Giovanni, il Capo Turno, anche lui è un padre di famiglia, vorrebbero non pensare al peggio ma in certi attimi è quasi impossibile difendersi dai pensieri più terribili. Massimiliano ricompone il numero nel giro di pochi secondi, altra attesa, un paio di squilli a vuoto e poi Matteo risponde. È andata bene, la partita è ancora aperta. Massimiliano torna a stimolare con qualche riflessione Matteo e lui riprende a raccontare la sua brutta storia. Finalmente si sentono delle voci sullo sfondo, sono arrivati gli uomini della volante, ad aprirgli è stata la mamma che è ignara di tutto. Anche gli agenti del pronto intervento sono perfettamente a conoscenza della situazione e quindi, dando un senso di continuità all’intera operazione, con fare rassicurante si rivolgono a Matteo usando i toni giusti. Massimiliano, direttamente dal Commissariato Online, ascolta tutto, Matteo ha ancora lo smartphone all’orecchio. «Matteo, ora sono arrivati questi amici, tranquillo, sereno, che il peggio è passato. Ora non sei più solo. Ti prometto che ci conosceremo presto, sei un ragazzo speciale e soprattutto sei coraggioso». Quando la comunicazione s’interrompe Massimiliano e Giovanni si osservano, non esiste la necessità di spendere parole, è sufficiente rimanersene lì e respirare assieme. La vita e la morte a volte sono separate da un battito di ciglia, da un minuto perso o da una parola di troppo, questa volta è andata bene. Matteo è salvo, è riuscito a buttare fuori tutte le angosce che lo paralizzavano e nella sua vita è tornato ad esistere un orizzonte. Massimiliano e Matteo qualche settimana dopo quella lunga telefonata hanno avuto modo di conoscersi, con loro c’era anche il Capo Turno. Il terrore dello scandalo e le mille paure che avevano paralizzato la vita di Matteo si sono lentamente dileguate nel nulla. Non solo, il ragazzo ha avuto la comprensione di tutti e grazie ad un lavoro meticoloso i suoi ricattatori sono stati individuati e denunciati. Oggi quell’episodio appartiene al passato, Matteo frequenta con ottimi risultati l’università e mai potrà comunque dimenticare quella voce amica che nel pomeriggio più buio della sua esistenza è stata in grado di mostrargli una luce. Quella della vita. Giovanni Camarda A raccontarmi la storia di Matteo, che in parte è stata modificata per ovvie questioni di privacy, è stato Giovanni Camarda, Vice Ispettore della Polizia di Stato che nel corso di questi anni ha incontrato migliaia di ragazzi, affrontando il tema complesso dei reati online e dell’uso della rete. Quel giorno fu lui a coordinare le varie fasi dell’intervento. Giovanni, la prima cosa che ti chiedo riguarda l’inizio della storia di Matteo. «Era una giornata come le altre. Il Commissariato Online riceve delle e-mail costantemente, giorno e notte. Le priorità sono la pedofilia, il terrorismo, il phishing e altro ancora. Parliamo di centinaia di e-mail al giorno e noi dobbiamo sempre saper intercettare le urgenze. Nel caso di Matteo esisteva la concreta possibilità che il ragazzo potesse togliersi la vita gettandosi dal balcone. Quel giorno ero a capo del turno e la prima cosa che abbiamo fatto, una volta che il collega mi ha segnalato la criticità della situazione, è stata quella di recuperare tutte le informazioni possibili sul soggetto, stabilire un contatto ed allertare la sala operativa a lui più vicina in modo da indirizzare sul posto una volante. È un gioco di squadra che coinvolge tutti gli elementi, solo in questa maniera è possibile riuscire a risolvere tante situazioni complicate e drammatiche. Molti ragazzi di fronte a queste situazioni trovano la forza di raccontare, altri, come nel caso di Matteo, rimangono paralizzati dalla paura e dalla vergogna, non riescono a venirne fuori e affondano nella disperazione più totale». Sono diffusi i casi di sextortion? «Purtroppo, si. Valgono sempre le vecchie regole, mai fidarsi di persone che abbiamo conosciuto solamente online e soprattutto mai condividere immagini intime che potrebbero poi trasformarsi in armi di ricatto. Lo diciamo ad ogni incontro che teniamo nelle scuole, è una specie di mantra. Non fidatevi mai e tenete presente che chi è dall’altra parte dello schermo è molto bravo nel coinvolgervi sentimentalmente ed emotivamente. Se malauguratamente vi ritrovate dentro una situazione simile a quella di Matteo, parlatene subito, perché è proprio vero che tutto si risolve. Parlatene con un adulto di fiducia, parlatene con noi della Polizia, scrivete al Commissariato Online. State certi che nessuno vi giudicherà, il nostro compito rimane quello di darvi una mano, aiutarvi ed assicurare alla giustizia gli estorsori. È di noi che dovete fidarvi, non degli sconosciuti». Cosa provi quando devi affrontare situazioni del genere? «Ciò che in quei momenti ti angoscia maggiormente è il senso di impotenza, il terrore di non arrivare in tempo, in quanto la vittima non l’hai di fronte, è solo una voce al telefono e dietro quella voce c’è un ragazzo che è fuori sul balcone di casa, ad un solo passo da un gesto irreparabile. Inizialmente ogni tentativo del collega sembrava destinato a non sortire alcun effetto, Matteo si limitava a ripetere «la mia vita è finita». Poi è anche caduta la linea e noi non ne sapevamo il motivo, descrivere certi attimi è quasi impossibile. L’unica cosa che abbiamo potuto fare è stato sollecitare la sala operativa affinché comunicasse alla volante di accelerare. La tensione in certi attimi la puoi quasi tagliare con il coltello da quanto è densa. Quando poi abbiamo ripristinato la linea ed abbiamo sentito nuovamente la voce di Matteo abbiamo tirato un enorme sospiro di sollievo, dopo neppure un minuto abbiamo sentito suonare alla porta ed è stata una liberazione. I colleghi hanno dovuto anche spiegare alla mamma che cosa stesse accadendo, insomma, sono situazioni estremamente delicate. La telefonata con Matteo è durata oltre dieci minuti che comunque, vi garantisco, sembrano più lunghi di una vita intera. A distanza di tempo mi sono reso conto che Matteo aveva solo bisogno di aiuto e di qualcuno che fosse disposto ad ascoltarlo senza giudicarlo. Lui non sapeva veramente con chi parlare. Era perso». Esperienze del genere le vivete quasi quotidianamente, che segni lasciano? «Abbiamo uno staff di psicologi che ci aiuta a gestire situazioni come queste e a capire che avere paura di non riuscire è normale. Siamo formati ad ascoltare le nostre sensazioni per essere empatici ed efficaci. È difficile. Ma, se si agisce in squadra e con tanto impegno, spesso questo è già sufficiente per fare andare bene le cose». Cosa manca ai ragazzi? «Nello specifico, lavorando spesso con i ragazzi, mi sono reso conto della loro fragilità e di quanto abbiano bisogno del nostro aiuto. Bisogna invitarli a parlare, a sfogarsi, a buttare fuori, perché in certe situazioni la solitudine è il peggiore dei nemici. Il rispetto delle regole è fondamentale ma occorre anche tanta comprensione, oggi i ragazzi hanno in mano uno smartphone e spesso lo usano in maniera sbagliata, ma se lo avessimo posseduto noi qualche decennio fa, saremmo stati migliori?» Saluto Giovanni lasciando questa domanda sospesa nell’aria. Io personalmente una risposta ce l’ho e non ho alcun dubbio sul fatto che sia identica a quella di Giovanni.