“La mia autostima era ridotta a zero. A volte il dolore diviene insopportabile.”
Ciao Luca, ho deciso di raccontarti la mia storia per tre motivi. Il primo, è per cercare di andare avanti senza troppi rimpianti o emozioni negative che, come ho già sperimentato, ti “logorano” letteralmente dall’interno. Il secondo, è per aiutare ragazze e ragazzi che potrebbero trovarsi nella mia situazione e così riuscire ad avere un confronto su come affrontare un momento del genere. Il terzo, è per ringraziare le persone che mi hanno fatto del male, perché inconsapevolmente mi hanno aiutata a crescere e a fortificarmi. Penso che molte persone abbiano passato situazioni peggiori, ma non so se sarebbero riuscite a superare quello che ho vissuto; sinceramente, non so nemmeno io come ho fatto.»
Una lettera lucida e schematica quella che mi invia Bibi attraverso i social. Parole dure che leggo e rileggo più volte, notando che non perdono mai di intensità. Bibi non ha concesso nulla al superfluo, nei suoi confronti hanno usato la cattiveria con una meticolosità chirurgica e lei si è limitata a mostrarmi quelle ferite precise. Hanno utilizzato e stanno utilizzando ancora il bisturi per lasciarle segni profondi. « Traspare tanta rabbia quando scrive che intende ringraziare chi l’ha ferita; è la rabbia di chi subisce ingiustamente offese e soprusi, è la rabbia che accomuna migliaia di ragazzi che sono vittime di ingiustizie, di bullismo e di cyberbullismo. Ci sentiamo al telefono e decidiamo di comune accordo che la sua storia la raccoglierò, utilizzando lo smartphone. Nessun primo piano, nessun campo largo, solo dettagli. Non perché Bibi non sia bella, ma per mettere ancora più in evidenza i suoi occhi, la sua bocca e il suo cuore. Questione anche di privacy, di riuscire a farla sentire a proprio agio e al riparo di fronte all’occhio impersonale di una telecamera. Raccogliere una verità significa ridurre al minimo ogni artificio e abbattere qualsiasi barriera, creare una condizione di intimità ripulita da ogni forma di pregiudizio. Raccogliere una verità significa predisporsi all’ascolto, senza fretta, e lasciare che le cose fluiscano a modo loro. Ascoltare ed essere ascoltati. Tutto lì. Nessun segreto. E Bibi, quando ci siamo sentiti al telefono, mi ha confermato di essere pronta ad affrontare questo viaggio da fermi. Quando la raggiungo nella sua grande casa, Bibi è sola e mi prepara il caffè. Ha quindici anni, ma nei modi di fare e di muoversi sembra averne di più. Immagino che il dolore in tutto questo c‘abbia messo del suo. Giornata che conserva ancora tracce d’estate, vento caldo che si porta via le prime foglie d’autunno. Parliamo un po’ di tutto, in primis del suo splendido cane e del suo amore per tutti gli animali, e poi dobbiamo decidere dove registrare il nostro incontro. Sì, Bibi pesa molto più di quanto dovrebbe e di quanto vorrebbe, è sovrappeso, e come sempre alle spalle di un disordine alimentare ci sono una serie di cause che non spetta a me approfondire. Non sono psicologo e neppure nutrizionista, però mi è sufficiente osservarne gli occhi e i lineamenti per intuirne la bellezza profonda. Bibi ha una voce pulita e senza inflessioni, emana leggerezza, altro che obesità. La sua croce e il suo tormento non sono i chili di troppo, ma le parole in eccesso. Quelle che la condannano senza appello e la etichettano come fosse un pacco postale troppo ingombrante. La mamma quel primo pomeriggio ha deciso di non esserci, questione di sensibilità, ha preferito lasciarci soli e liberi di poter raccogliere i pezzi di questa storia, mettendoli in fila come meglio crediamo. Il papà è al lavoro. Sono separati i genitori di Bibi e anche questo dolore è parte del suo cammino. Cerchiamo assieme l’angolo giusto per poter chiacchierare, scegliamo di rimanercene in salotto perché fuori c’è troppo vento. Mentre piazzo lo smartphone sul tavolo e sistemo il microfono sulla T-shirt di Bibi, mi rendo conto di quanto sia importante raccontare una storia come la sua, perché racconta il dolore comune, quello che quasi mai finisce sulle pagine di un giornale, ma che è sempre portatore di una sofferenza lacerante. Penso di poter affermare con certezza che non esista una classe di scuola indenne da queste schegge di dolore. Microstorie fatte di soprusi e veleni, di isolamenti forzati e strategie crudeli. Quando inizio a registrare, di fatto non cambia nulla rispetto a prima, non siamo di fronte a un’intervista, ma a un percorso condiviso, Bibi con i suoi quindici anni ha cose da dire e cicatrici da mostrare. Il resto non conta. Raccontarsi per lei significa condividere un peso non sopportabile, ma anche allungare una mano verso chi è sofferente. Aiutarsi, esserci, condividere e comprendere. Parole e concetti che con perfido cinismo hanno tentato di sottrarre alla sua esistenza. «A volte pensi che il dolore sia troppo, eppure continui a camminare rendendoti conto che la tua resistenza è più potente di quanto avessi mai creduto. Sì. Il dolore ti spinge oltre.» Lo dice con convinzione Bibi, del resto, tra gli screenshot che mi ha inoltrato, erano in molti ad augurarle la morte o le peggiori sofferenze. Malattie gravi, incidenti, sfortune e quanto di peggio. È antico il dolore di Bibi, per ritrovare le prime volte in cui iniziarono a chiamarla «balena» bisogna risalire ai primi anni delle scuole elementari. Lei era la cicciona della classe. Identificata e certificata come quella che fa schifo e non può ambire a nulla. Non è stato un periodo breve, non si è trattato di una nuvola passeggera, ma di un cielo grigio che si è posizionato stabilmente sopra la sua vita. Nessun raggio di sole, una grande casa, i suoi cani e i suoi gatti pronti ad amarla e ad ascoltarla e fu proprio a loro che lei iniziò a confidare tutta la sua tristezza, la stanchezza e soprattutto una rabbia esplosiva. Perché accadono queste cose? L’assenza di una qualsiasi risposta plausibile le ha tolto da anni la serenità. Bibi la cicciona era ancora una bambina quando iniziò a pensare che tutto sommato qualche colpa l’avrebbe pur dovuta avere, perché quando accadono queste cose è molto facile iniziare a trasformarsi nei primi nemici di sé stessi. Lo specchio ti restituisce l’immagine di un qualcosa che detesti e quando inizi a odiarti è impossibile evitare che quel rancore non si sparga nell’aria come polline in primavera. Chi ti vuol bene ti dice «lascia scivolare tutto, fregatene», ma non è così che funzionano le cose. Dolore e rabbia non scivolano, restano lì, inchiodate come tavole di legno nel mezzo dei tuoi pensieri e del tuo stato d’animo che non conosce pace. Ci fermiamo un attimo e Bibi va a prendere dell’acqua. La sua gentilezza è parte di lei e dell’educazione che ha ricevuto. È la profondità del suo sguardo ciò che veramente mi colpisce e sono certo che basteranno i suoi occhi per dare un senso vero al video che stiamo realizzando. Non ho dubbi in proposito. Entrambi beviamo un sorso, non ho neppure interrotto la registrazione per evitare di contaminare la fluidità e l’inerzia di tanti pensieri. Le domando istintivamente cosa sia il dolore e lei ha bisogno solo di pochi secondi per raccogliere un’idea e regalarmela: «Il dolore funziona come se fossero tanti aghi che ti perforano continuamente la pelle. Il problema è che il dolore cammina per conto suo, non riesci a farlo smettere a comando. Puoi subirlo e basta. Ogni anno, tornando a scuola (questo accade fino dalle elementari), mi illudevo che le cose sarebbero andate meglio; invece, tutto ricominciava come nel peggiore degli incubi. Io stessa mi ripromettevo di essere più comprensiva e forte, ma tutto finiva nel nulla.» Proprio così. Provo a immedesimarmi in Bibi, tento di comprendere cosa voglia dire sentirsi massacrato per anni durante il periodo che dovrebbe rappresentare la parte magica della propria esistenza, quello dove si vive a cavallo tra favole e speranze. Per Bibi niente alti e bassi, il dolore continuava ad attraversarla da dentro, azzerando ogni possibile oscillazione. Nessun colore, solo tonalità di grigio sempre e ovunque. Ci sono le lunghe notti insonni in cui lei ha pensato a come fronteggiare il branco che la stava mordendo. Forse, avrebbe potuto picchiarne qualcuno, perché Bibi non è una che si piega, ma sapeva benissimo che non era da quella parte che transitava la soluzione. Bibi continua a non vivere e, nel frattempo, trascorrono gli anni. Certo, c’è l’appoggio incondizionato dei genitori; esistono i tentativi di far comprendere agli altri genitori che all’interno di quella classe esiste un problema, ma al di là di qualche labile segnale, l’umanità e la voglia reale di cambiare qualcosa non oltrepassano mai il portone della scuola. Bibi mi racconta che alle medie le era passata per la mente l’idea di fare la youtuber, aveva idee e contenuti, ma anche sui social c’era chi era sempre pronto a sbeffeggiarla. Hanno pensato bene di creare anche degli account fake, gli insulti continuavano a colpirla e l’unica cosa da fare era giocare sulla difensiva, evitare, agire con la scaltrezza della preda che deve sopravvivere ai predatori. Una storia come tante altre. Lo penso, mentre Bibi continua a raccontare alternando lo sguardo tra me e l’obiettivo dello smartphone. C’è tanto bisogno di portare alla luce percorsi di ordinario dolore, è così che mi viene da definirlo. C’è necessità di farlo, perché siamo sempre tutti più fragili ed esposti ai venti della cattiveria. Non ne conosco i motivi, ma forse un tempo si era più preparati all’ingiustizia, ora no. Le parole perfide arrivano subito in profondità e, soprattutto, con i social non arrugginiscono mai. Rimangono affilate e taglienti nel tempo. «Pochi giorni fa ho pubblicato un video su Tik Tok – mi racconta Bibi – l’ho intitolato Il mio glow up, ovverosia “il mio cambiamento positivo e la mia crescita personale.” Il primo commento stupido è arrivato quasi all’istante e diceva “Più che glow up è glow large”. Commenti tristi che non farebbe neppure un bambino di otto anni, eppure è così che stanno le cose.» Non commento, c’è poco da aggiungere. Bibi mi elenca alcune tra le offese più comuni che nel tempo le hanno riservato sui social e potrebbe andare avanti per ore: «obesa, palla di merda, cicciona, panzona, trippona, stronza, sfigata, senza amici, impiccati, muori, fai schifo». Ascolto e comprendo anche un altro genere di dolore e cioè quello che travolge un papà o una mamma. Come è possibile assistere alle sofferenze di un figlio quando sono provocate in maniera crudele e spietata da altri coetanei? Il cuore si spezza, e sai che le tue parole di conforto possono pochissimo rispetto all’impatto devastante che hanno tutte quelle offese. È accettabile che un figlio possa vivere così? È accettabile che quasi un’intera infanzia e tutta l’adolescenza siano trasformate in un qualcosa di così terribile? Mi trovo a domandare istintivamente a Bibi che fine faccia l’autostima a fronte di tutto questo e la risposta è immediata: «L’autostima viene intaccata gravemente quando si viene bullizzati. Per esempio, io fino alla terza media non credevo minimamente in me stessa, mi facevo ribrezzo e non pensavo neppure di superare l’esame. Se non sei capace di credere in te stesso non sei in grado di credere in nessuno e quindi vivi nell’ansia totale. La paura non si lega al fatto di pensare a come sopravviverai negli anni, è una paura che ti porti dietro giorno dopo giorno. Non sai neppure come arriverai a domani. Queste sono le conseguenze di chi cresce in mezzo a persone che continuano a minare il tuo equilibrio.» Bibi non ha bisogno di essere rincuorata, però le faccio notare che già il fatto di raccontarsi significa che ha una forza non comune e su questo punto anche lei concorda. «Il problema è che continuo a non piacermi, io non voglio essere ciò che osservo allo specchio. Io non mi vado bene così come sono e questo mi fa star male. Molto male. Non è semplice da spiegare, infatti mi sento sola, perché non trovo mai persone che siano in grado di capirmi fino in fondo. Vorrei avere più amiche, vorrei più sincerità, ma non sempre questo è possibile. Io sono una diretta, ho un carattere forte e quindi sono esigente nei rapporti interpersonali, non mi accontento. Meglio soli che dover condividere la propria intimità con chi non se lo merita.» Mi parla a lungo del rapporto con sua mamma e di quello ritrovato con il papà e di quanto tutto questo sia per lei importante nella ricerca di un equilibrio interiore. Tanti anni di sofferenza hanno offuscato la fiducia e il senso di appartenenza. I famosi “altri” spesso l’hanno attaccata o l’hanno relegata al ruolo di invisibile ed è complicato decidere quale sia il più doloroso tra i due percorsi. «Sono ragazzate, lasciamo che se la sbrighino tra loro» oppure «Mio figlio non è così e mi ha giurato che certe cose non le ha mai fatte», quante volte la mamma si è sentita gettare addosso risposte che non erano neppure risposte? Quante volte Bibi si è resa conto che non era neanche dal mondo dei grandi che avrebbe ricevuto un riconoscimento al proprio malessere? Allora si diventa sempre più prede, ci si trasforma in animali da fuga e la grande casa immersa nel verde non è altro che una roccaforte utile per tenere il mondo a debita distanza. «Io mi sento molto più grande degli anni che ho» dice Bibi con un tono di voce che è più vicino alla consapevolezza che non all’autocommiserazione. Quella mai, perché non è nelle sue corde. Non le piace piangersi addosso e accettare passivamente le ingiustizie. Mi ribadisce che con l’opportunità di “#cuoriconnessi” vuole cercare di aiutare e di essere aiutata. «Lo so – aggiunge – è una strada complicata, ma è la sola via che potrebbe dare un senso a questo percorso così difficile.» Spengo la telecamera, ma restiamo ancora parecchio a parlare. Mi racconta di quanto sia complicato accettarsi e di come ci siano aspetti del proprio corpo che non riesce proprio a farsi piacere. Bibi mi offre lo spunto per approfondire il tema della bellezza a tutti costi, quella che rende schiavi e insicuri. La bellezza da copertina acchiappalettori, che molto spesso ha così poco di spontaneo. La bellezza costruita in laboratorio, tra pose studiate e filtri. Ogni foto un parto, frutto di una selezione severa e spietata. Quanta fatica per ottenere lo scatto giusto e provare la sensazione di essere all’altezza, di competere e di interpretare in maniera quasi perfetta ciò che gli altri si aspettano. È inseguendo quel “quasi” che ci si danna l’anima, perché raggiungerlo non è possibile per definizione. Siamo circondati da castelli di carta edificati sul nulla e pronti a crollare di fronte alla comparsa di un semplice brufolo, figlio di un cioccolatino di troppo. Quanta finzione e quanta fragilità. Si è smarrito il senso di molte cose e i primi a perdersi sono stati gli adulti, e gli esempi più devastanti molto spesso provengono proprio da loro. Quando saluto Bibi, il sole è ancora alto. È soddisfatta di avermi raccontato così tanto di lei ed io sono consapevole di quanto debba essere stato difficile per lei frugare dentro sé stessa e regalarmi tante verità. Ci vuole coraggio per dare voce alle proprie paure e lei quella forza la possiede. Spero veramente che questi anni delle secondarie di secondo grado l’aiutino a trovare le amicizie giuste e, soprattutto, una sua armonia interiore. Sono convinto che le due cose camminino di pari passo. Ora ne sono certo. La sua storia ne rappresenta altre centinaia di migliaia. È tempo di dare spazio a chi magari è convinto che le proprie sofferenze non meritino neppure di essere raccontate. Arriva l’autunno 2022, tempi di grandi incertezze tra pandemie che non mollano e guerre che sconvolgono vite ed economie già duramente provate. Sono in auto e chiamo Bibi per sentire come vanno le cose. Mi fa piacere sentirla, le racconto che il video con la sua intervista è stato montato e sto ultimando di scrivere la storia dei suoi pensieri e dei tanti momenti di buio che l’hanno accompagnata in questi anni. È curiosa di leggerla, molto curiosa; mi racconta che ha iniziato il secondo anno di Liceo Linguistico, si è ripromessa di essere paziente e comprensiva, in quanto gli scontri alimentano solo altri scontri. Nel frattempo, sono arrivate in classe altre due ragazze con cui ha subito legato. Questa cosa mi piace molto, lei poi passa a una raccomandazione che le esce dal cuore e, siccome teme che possa dimenticarmi, mi ripete più volte il concetto: «Luca, mi raccomando, scrivi di quanto sia stato importante per me avere accanto i miei cani. Loro mi ascoltano, non giudicano e regalano amore. Lo so che sono frasi già dette, ma se non avessi avuto loro accanto, non so come sarei riuscita a superare certe situazioni. Loro sono la mia ancora e sempre rappresenteranno un punto fermo della mia vita. A un cane non interessa come ti vesti e quanto pesi, a lui importa esclusivamente che tu possa regalargli amore e spesso intuiscono cose che forse neppure il tuo migliore amico sarebbe in grado di percepire.» Bello ascoltare queste parole e questi pensieri da un’adolescente speciale come Bibi, in particolare mi colpisce l’aspetto legato al fatto che i suoi cani non giudicano in base a ciò che dice una bilancia. Agli occhi di un cane non esistono bianchi, neri, gay, obesi o anoressici. Un cane ha solo bisogno di condividere amore. Tasto dolente e complicato per Bibi, quello del peso, una battaglia che lei combatte da sempre e che le ha procurato una serie lunghissima di dolori, quelli che non ti abbandonano mai e si piazzano in pianta stabile tra stomaco e cervello. I sensi di colpa, per le tante diete iniziate e mai finite, il sapore amaro del fallimento, l’angoscia neppure troppo velata per avere deluso le persone a cui vuoi più bene, l’autostima già vacillante che ti abbandona come fanno certi esseri poco umani con gli animali domestici a Ferragosto. Tutto questo è parte del percorso di Bibi. Tutto questo, mi verrebbe da dire, è Bibi, fragile come il cristallo e combattiva come un guerriero. Poi, finalmente, mi racconta ciò che già mi aveva in parte anticipato la mamma: «Luca, sono stata con papà da un’esperta in alimentazione e disturbi alimentari. È stata durissima. Durissima. Io la bilancia la evitavo da mesi. L’idea di salirci sopra era più un incubo che un tabù. Ora ho trovato il coraggio di farlo ed è stato peggio di quanto potessi immaginare. Non sarà semplice tornare a lottare per dimagrire.» La ascolto con attenzione. A toccarmi il cuore sono le sue paure e la sua capacità di essere diretta e sincera. Evitando di trasformarmi nel vecchio saggio che dispensa banalità, cerco di trasferirle il concetto che nel momento in cui ha varcato la soglia di quello studio medico ha già iniziato a riprendersi la sua vita. È tornata ad affrontare la battaglia, si riparte. Altra vita, altre amicizie, nuove sfide con sempre accanto i suoi amici a quattro zampe. Bene, Bibi. Andiamo avanti così!