«Il rispetto nasce dalla conoscenza, e la conoscenza richiede impegno, investimento, sforzo»
(Tiziano Terzani)
Ciao Luca, sono una Professoressa e insegno in un grande istituto scolastico, è una secondaria di secondo grado. Mi permetto di scriverti perché con varie classi sto seguendo il progetto #cuoriconnessi e tutti lo riteniamo molto efficace. È di un nostro alunno che vorrei parlarti, si chiama Manuel e tra poco concluderà la prima superiore, è un ragazzo piuttosto riservato ma dopo aver ascoltato un’audio storia di #cuoriconnessi ha vinto la vergogna, mi ha raccontato il suo percorso e il periodo drammatico che sta attraversando. Il suo è stato uno sfogo che mi ha toccato il cuore. Questo è avvenuto circa a febbraio ma purtroppo ad oggi la situazione non è migliorata, anzi, se possibile è anche peggiorata. La scorsa settimana ci siamo fermati a parlare qualche minuto all’uscita di scuola e mi è venuto in mente di domandargli se sarebbe stato disposto a raccontarti la sua esperienza. Ho visto finalmente una luce nei suoi occhi e mi ha risposto immediatamente di si. Ho parlato anche con sua mamma che non ha nulla in contrario, è lei ad avere la patria potestà in quanto è separata dal marito; quindi, se può interessarti, possiamo sentirci al telefono, così avrò modo di spiegarti nel dettaglio la sua vicenda».
Leggo con attenzione l’e-mail che mi ha inviato la Prof., che si chiama Silvia, e decido di chiamarla. Pensavo fosse una telefonata breve e invece, dopo un’ora, siamo ancora a parlare. La storia che mi “tira addosso” Silvia è pesante, dura da digerire e comporta anche diversi rischi. Per pubblicare la storia di Manuel bisognerà adottare molte accortezze in quanto potrebbe andarne di mezzo la sua sicurezza personale ed anche quella della mamma con cui vive assieme ai suoi fratelli (non specifico il numero per evitare di fornire troppe indicazioni). Per motivi di privacy non citerò la città dove vive e neppure l’istituto scolastico frequentato da Manuel. Il suo nome, così come quello degli altri protagonisti di questa storia, è di fantasia, nulla invece è stato modificato per quanto riguarda l’andamento dei fatti. C’è voluto oltre un mese per organizzare l’incontro, abbiamo deciso che ci incontreremo con Manuel alla stazione degli autobus e poi, assieme alla Prof. e Manuel, ci recheremo in un piccolo parco che la mattina non è frequentato da nessuno. Solo noi e la mamma siamo al corrente di questa iniziativa, Manuel ha preferito non farne parola neppure con i suoi fratelli. Parto in auto, è un viaggio di quasi cinque ore, e quando la sera arrivo mi faccio un bel giro a piedi nel centro storico. Non conoscevo questa cittadina e, come spesso accade, l’Italia è sempre in grado di stupirti con le sue bellezze. C’è il sole la mattina e l’aria per fortuna è fresca, quel giorno le scuole sono chiuse per una festa locale e io alle nove finalmente conosco Silvia di persona, con lei c’è un’altra docente altrettanto simpatica che è al corrente del caso di Manuel. Silvia ha lo sguardo dolce ed è innamorata della sua professione che l’ha portata a migliaia di chilometri dal suo paese natale: «L’insegnamento – mi dice – è una parte fondamentale della mia vita». Non c’è verso, vuole offrirci la colazione a tutti i costi e poi, alle nove e trenta, andiamo a prendere Manuel alla stazione degli autobus. Sono abbastanza curioso in quanto non ho la minima idea di come sia questo ragazzo di cui sento parlare da settimane. C’è movimento alla stazione ma, quando da lontano intravedo nel mezzo di tante persone un ragazzo che si guarda attorno, capisco all’istante che si tratta di Manuel. È alto e magro, forse un po’ troppo, indossa dei pantaloni cargo verde militare che gli arrivano al ginocchio, sneakers verdi in tinta con i pantaloni, una T-shirt rosso scuro senza loghi e un cappellino nero con visiera. Al pollice destro indossa un anello d’argento molto semplice. Nulla di particolare, un ragazzo come tanti, ma è il suo muoversi con armonia e leggerezza a colpirmi. Per farsi coraggio si è fatto accompagnare dalla sua amica del cuore, non era previsto ma va benissimo così. Riconosce la Prof. e ci viene incontro, si vede che è piuttosto agitato ma immagino che sia il minimo. Non è stato semplice decidere di mostrare le proprie ferite a degli sconosciuti. Gli stringo la mano e ci presentiamo, arriva da un paese dell’Est Europa ma di fatto è cresciuto in Italia. Manuel ha la carnagione molto chiara, uno sguardo profondo e un sorriso di quelli che illuminerebbero una notte senza luna. È un ragazzo dai lineamenti sottili ed eleganti, emana empatia anche se inizialmente preferisce rimanersene in silenzio. Saliamo tutti in auto facendo rotta verso il luogo dove realizzeremo la nostra intervista. Ci mettiamo una ventina di minuti e alla fine parcheggiamo sul bordo di una strada secondaria. Ci sono molte panchine all’ombra ed è lì che pensiamo di piazzarci. Abbiamo deciso che io registrerò l’intervista senza inquadrarlo, mi soffermerò sulle sue mani lunghe da pianista e ne modificherò la voce, poi con qualche effetto renderemo irriconoscibile anche quel parchetto che già di per sé è piuttosto anonimo. Alla fine, troviamo la panchina giusta e, prima di iniziare la registrazione, gli spiego che questa più che un’intervista dovrà essere una chiacchierata libera e che non è tenuto a rispondere a tutto. Per tranquillizzarlo ulteriormente gli ricordo per l’ennesima volta che, in qualsiasi istante volesse smettere di raccontare, fermiamo la registrazione e amici come prima. Vedo che apprezza molto questo approccio così poco giornalistico, mi rendo conto che è una creatura delicata e meravigliosamente sensibile, quindi non vorrei trasformare questa bella occasione di dialogo in una sorta di tortura mediatica. Sistemo bene il microfono e possiamo cominciare. Per rompere il ghiaccio domando a Manuel che cosa pensi del progetto #cuoriconnessi e come personalmente lo ha vissuto. «La lettura di #cuoriconnessi mi è stata molto utile perché mi ha aiutato a capire molte cose che accadono online e soprattutto sui social, non ha aiutato solo me ma tutta la classe. Dopo aver letto il libro mi sono sentito più maturo. #cuoriconnessi l’ho conosciuto attraverso la scuola perché la Prof. ha portato il libro in classe e abbiamo iniziato a leggere qualche storia. Quando mi ha chiesto se fossi stato disposto a raccontarmi, ho subito risposto di si. Ho tante cose da raccontare che possono essere utili ad altri ragazzi e poi quella che sto vivendo oggi è una bellissima esperienza». Come spesso accade mi incuriosisce sapere da chi ha letto il libro quale sia la storia che lo ha colpito maggiormente. «Dovessi dirti qual è la storia che più mi ha colpito, penso alla storia di Due, un ragazzo che possiamo definire “diverso” e che non si è mai arreso di fronte ai pregiudizi e alle cattiverie. Non si è piegato, ha deciso che essere se stessi, quando non si commette nulla di male, è un diritto che spetta ad ogni essere umano. Chi diventa “qualcos’altro” solo per paura o per adeguarsi alle convenzioni, secondo me è uno che rinuncia a vivere. L’altra cosa che mi ha toccato nel profondo, in merito alla storia di Due, è il fatto che lui ha sempre utilizzato la forza del sorriso, non si è mai abbassato al livello degli altri, non ha mai risposto con la violenza alla violenza. Ecco, posso dire che Due è per me un modello a cui ispirarmi». Avverto che Manuel si è sciolto e posso provare, anche se in punta di piedi, a entrare dentro la sua storia personale, ed è così che gli domando come tutto ha avuto inizio. «La mia brutta esperienza è cominciata a settembre dello scorso anno, quando ho conosciuto un ragazzo che mi è piaciuto subito. I problemi sono iniziati verso novembre, dicembre, quando ho litigato pesantemente con i miei genitori e con alcuni miei ex amici, in quanto non accettavano il fatto che io fossi bisessuale. Dentro casa mio padre e mia sorella hanno smesso di parlarmi dopo che io ho fatto coming out. Devo dire che già da prima non avevo un grande rapporto con loro due; invece, mamma ha accettato la mia bisessualità e non solo mi è stata e continua ad essermi vicino, ma lei è felice che io abbia scoperto cosa sono e come intendo vivere la mia vita. Mia madre è tutto, è la persona più importante di questo mondo perché è una che non si arrende mai, proprio come Due, e soprattutto a lei non interessano le mie tendenze sessuali, a lei sta a cuore esclusivamente la mia felicità. Farei qualsiasi cosa per mamma». Chiedo a Manuel se si ricorda il giorno in cui ha trovato le parole e il coraggio per affrontare il discorso con sua madre. «Con lei è stata una cosa tranquilla perché le ho fatto vedere in foto il ragazzo che mi piaceva. Le ho detto: “mamma a me piace molto ed è un bravo ragazzo, cosa posso farci? Per te è un problema?” Diciamo che inizialmente non è esplosa di gioia e la capisco, era un po’ confusa, ma quasi subito mi ha detto: “Se piace a te va benissimo così” e io mi sono sentito subito sollevato da mille paure. Sapevo che avrei potuto contare sul suo appoggio senza essere giudicato». Intuisco che il problema vero è con suo padre e la sorella. Domando a Manuel in che maniera ha comunicato loro i suoi orientamenti sessuali. «Con mio padre e mia sorella è stato molto difficile perché hanno trovato una foto su Instagram mentre stavo abbracciato a un ragazzo. Non una foto pornografica, ci mancherebbe, casomai era una foto che evocava dolcezza. È stata mia sorella per prima a vedere la foto e subito l’ha mostrata a mio padre. Io avevo già deciso che avrei fatto coming out al momento giusto; invece, quella foto ha mandato a tutto a monte. Oggi con mio padre e mia sorella il rapporto non è migliorato, mi hanno tolto sia i social che WhatsApp ma io ho appena installato di nascosto Instagram, per quale motivo dovrei rimanere isolato? Da cosa dovrei nascondermi? Loro vivono il mio orientamento sessuale con vergogna, quasi con disperazione. Mio padre è convinto che dovrei essere eterosessuale, pensa che il mio sia un capriccio, non accetta la mia natura e per questo ha deciso di non parlarmi più fino a quando, secondo lui, non tornerò a ragionare. Mamma ha cercato di parlarci e di convincerlo che non era di fronte alla fine del mondo, ma non ha ottenuto nulla. Mamma per consolarmi mi ha comunque detto che prima o poi capirà, secondo lei è solo una questione di tempo. Io comunque sapevo che lui avrebbe reagito così, perché spesso parlava male degli omosessuali, insomma conoscevo le sue idee in proposito». Gli domando se si senta coraggioso, perché non è semplice in piena adolescenza attraversare una tempesta del genere. «Per me coraggio significa non arrendersi e trovare la forza di sorridere di fronte ai fatti della vita, anche se a volte non è semplice». Il progetto #cuoriconnessi è nato per contrastare il cyberbullismo e promuovere un uso consapevole del web, quindi con Manuel apro questa parentesi importante partendo dalla scuola. «In classe non ho mai avuto problemi, forse perché sono un ragazzo positivo e sempre disposto al dialogo, quindi vengo rispettato come è giusto che sia. Online invece è tutto diverso, non hai un compagno di banco, non hai la possibilità di guardarti negli occhi e soprattutto, per dire le cose, non hai bisogno di coraggio. Il cyberbullismo esiste e l’ho sperimentato sulla mia pelle. Sul mio vecchio profilo qualcuno ha usato parole pesanti nei miei confronti. L’omofobia è presente online e offline, naturalmente di fronte a una tastiera è ancora più semplice offendere. In genere si tratta di vigliacchi, gente un po’ repressa, forse non se ne rendono conto ma sono loro quelli che hanno seri problemi nel relazionarsi con gli altri esseri umani». La proprietà di linguaggio di Manuel continua a sorprendermi al pari della lucidità dei suoi ragionamenti. «La mia strategia per bloccare gli haters è molto semplice e continuerà ad essere sempre quella. Quando visualizzo un messaggio di odio non rispondo mai. Lo so che non è facile, perché istintivamente vorresti insultare chi ti insulta, ma tutto questo non porterebbe da nessuna parte. Poi se visualizzi e non rispondi, chi è dall’altra parte ci rimane male, avverte di non essere stato preso in considerazione, nel suo profondo capisce che non è neppure degno di una risposta. Io penso che agendo in questa maniera sia in grado di mostrare anche la mia maturità. Questo sistema funziona, perché se non rispondi alla fine si stancano di offenderti». È deciso Manuel quando si racconta e capisco che non sta fingendo di essere più forte di quanto sia realmente. Mi viene istintivo domandargli quanto influiscano le parole che ci raggiungono attraverso i social. «Influiscono moltissimo, sia quelle positive che quelle negative. Pochi si rendono conto di quanto sia semplice regalare un sorriso o un dolore attraverso una semplice parola scritta. Questa cosa mi fa molto pensare. Bisogna stare attenti quando si esprime un giudizio, è un po’ come se usassimo un coltello in maniera imprudente senza tenere conto della sua lama. Se qualcuno mi manca di rispetto e scrive qualcosa di brutto su di me, anche se preferisco non replicare, ci resto molto male. Anzi ci sto malissimo se poi è addirittura qualcuno che conosco e magari a cui tengo». Gli domando che sensazione abbia in merito agli episodi di cyberbullismo e Manuel risponde di getto. «Sempre peggio. L’età si abbassa e quindi anche la consapevolezza. Personalmente ho vari amici che hanno sofferto per cose non vere scritte nei loro confronti. Mi verrebbe da dire che una parola positiva ti aiuta a superare un momento difficile, ma poi vai avanti e quasi te la scordi; invece, una parola negativa ti si appiccica addosso per tantissimo tempo, forse a volte per sempre. Vorrei combattere l’omofobia e le discriminazioni in genere. Razzismo compreso. Voglio lottare affinché i diritti umani vengano rispettati, nel mio piccolo mi impegnerò e ci metterò il cuore. Valiamo tutti molto e dobbiamo saperlo». Parla guardandomi negli occhi mentre, con la mano sinistra, accarezza l’anello che indossa sul pollice destro. «Sapessi quante volte mi sono sentito sbagliato, non in linea con i modelli che mi venivano proposti da internet o dalla TV, poi a tutto questo si sono aggiunti i problemi familiari. Ad aiutarmi tanto è stato il ragazzo che mi piace, giorno dopo giorno mi ha fatto comprendere che io non sono sbagliato. Io sono io e basta ed è questo a rendermi speciale. Non potrò e non dovrò mai tentare di cambiare per fare un piacere a mio padre e a mia sorella». Siamo arrivati quasi alla fine del nostro incontro e sono contento che sia stata proprio una vera chiacchierata. Non abbiamo seguito una scaletta di domande preparate, ma siamo scivolati da un tema all’altro rimanendo semplicemente aggrappati al filo del discorso. Mi sento di chiudere questa bella esperienza domandandogli che cosa si sente di dire a chi un giorno leggerà queste righe. «A tutti i ragazzi che stanno leggendo queste righe vorrei dire, a costo di ripetermi, di non arrendersi mai e di non scoraggiarsi per degli insulti banali che magari leggono sui social. Noi non siamo quello che gli altri scrivono di noi. E poi bisogna imparare a sorridere più spesso, questa è la mia filosofia. Io penso che i social, tenuto conto che vivono di parole e immagini, potrebbero aiutarci molto ad essere più felici, sembra un sogno ma in realtà basterebbe poco. Usandoli bene abbiamo la possibilità di aiutare altre persone che sono in difficoltà, possiamo rincuorarle scambiandoci magari delle esperienze. Io i social voglio viverli così». Sapevo che l’incontro con Manuel sarebbe stato denso di spunti utili per avviare altrettante riflessioni, ma la realtà, come spesso accade, ha superato le aspettative. Quando risaliamo in auto Manuel è più sereno, anche per lui tutto è andato come si immaginava dovesse andare. Riaccompagniamo lui e la sua amica alla stazione degli autobus e ci salutiamo. Gli faccio mille auguri per il suo futuro e soprattutto spero che suo padre e sua sorella riescano quanto prima a comprendere la bellezza di questo ragazzo che emana luce ad ogni passo.