«Ci vogliono vent’anni per costruire una reputazione e cinque minuti per rovinarla. Se pensi a questo, farai le cose in modo diverso»
(Warren Buffet)
Ore 23:40 «Patri sto provando a chiamarti, rispondi subito!!!»
Ore 23:41 «Patri ci sei? È urgente!»
Ore 23:44 «Patri chiamami appena puoi!!!»
Ore 23:51 «Patri ti prego! Guarda questo cavolo di telefono!»
Questi sono solo alcuni tra i messaggi che quella sera ho trovato sullo smartphone assieme a una serie infinita di chiamate a cui non avevo risposto per un semplice motivo, mi ero addormentata sul divano con il tablet davanti e avevo silenziato il telefono. Per l’ennesima volta stavo guardando una puntata della quarta stagione di Stranger Things, conosco a memoria quasi ogni battuta di quella serie perché è parte della mia vita, poi ero crollata. Papà e mamma stavano inchiodati di fronte a un film noiosissimo mentre mio fratello Gabriele, che ha sette anni, dormiva già da un pezzo nella sua stanza.
Naturalmente, come avrete capito dai messaggi, io sono Patrizia, per tutti Patri fin dai tempi delle elementari. Adesso di anni ne ho quattordici (quasi quindici) e ho appena terminato la prima superiore. Era una serata d’inverno come tante, una di quelle serate anonime dove non ci sarebbe stato nulla da ricordare a parte quella raffica di messaggi che mi aveva inviato Eli. Lei è la mia migliore amica, quasi una sorella, lo scorso anno Eli ha perso la mamma per una malattia e da quel momento, se possibile, ci siamo unite ancora di più. Io sua mamma la chiamavo zia, Eli dopo la sua scomparsa è andata in crisi profonda, ci sono state giornate in cui pensavo che volesse veramente morire per raggiungere la madre, poi fortunatamente giorno dopo giorno è tornata a vivere, ma niente sarà più come prima, di questo ne sono sicura. Nonostante fosse mezzanotte passata appena mi sono ritrovata da sola nella mia camera ho provato a chiamarla e lei mi ha risposto quasi subito. In maniera molto confusa Eli ha tentato di spiegarmi che qualcuno aveva commentato delle nostre foto private in cui apparivamo seminude all’interno della palestra della scuola. Ancora non aveva ben chiara la situazione e non era neppure in grado di dirmi dove fossero comparse quelle foto, però correva voce che fosse tutto vero. A essere sincera inizialmente non ci capii molto di quanto stesse dicendo, però mi arrabbiai tantissimo, perché tutti quei messaggi mi avevano fatto veramente preoccupare. «Cavolo Eli! Potevi anche dirmela domattina questa boiata! Non c’era bisogno di mandarmi in paranoia con mille messaggi per una stupidata del genere. Pensa se io e te ci siamo mai fatte delle foto nude in palestra? Ma che cavolate sono? Però potrebbe essere un’idea!» Le risposi ridendo. «Lo so che non ci siamo mai scattate delle foto seminude all’interno della palestra, però Aurora mi ha detto che nel gruppo di Milo le hanno viste! Sono comparse in varie chat. Dai, Auri non è una che spara cavolate!» Aggiunse Eli con tono estremamente convinto. Rimasi per un attimo in silenzio cercando di mettere ordine tra i pensieri ma in realtà c’era poco da riordinare, si trattava di uno stupido scherzo o qualcosa del genere, perché quelle foto non potevano esistere. Tranquillizzai Eli convincendola che non avevamo motivo di essere preoccupate. «Sai Eli cosa mi dice spesso papà? Male non fare, paura non avere, quindi tranqui! Ci vediamo domattina a scuola e mi raccomando, riportami la felpa verde, quella senza cappuccio! Notte amo!» Fu una notte tranquilla e senza sogni, a svegliarmi fu solo uno scroscio di pioggia quasi all’alba, giusto il tempo di aprire gli occhi e poi richiuderli gustandomi quell’ultima ora di letto. Lo so che non andrebbe fatto, ma io dormo sempre con il telefono acceso accanto (ma silenziato) e quando alle sette e dieci, come sempre, mamma mi è venuta a svegliare, per prima cosa (anche questa non è proprio una cosa giusta) ho dato subito uno sguardo al display. Oramai è un’abitudine. C’erano già alcune notifiche su WhatsApp, cosa piuttosto strana vista l’ora. Erano messaggi inviati da due compagne di scherma (pratico il fioretto) e da alcuni compagni della scuola. Più o meno dicevano tutti la stessa cosa e si riferivano a quelle famose “foto fantasma” che io ed Eli non ci eravamo mai sognate di scattare e tanto meno le avremmo eventualmente pubblicate. «Ma come vi è venuto in mente di fare quella cavolata?» Mi aveva scritto Consuelo. «Ma siete sceme? Poi quella tua foto da sola in spiaggia di questa estate da dove salta fuori? Che frequenti i campi nudisti?» Questo era invece il messaggio di Lucy. Solo a quel punto ho iniziato a preoccuparmi in maniera seria perché era evidente che stava accadendo qualcosa di cui non ero a conoscenza. Adesso le foto in questione erano addirittura due! Ancora però faticavo a mettere a fuoco la situazione. Certo, sono una ragazza un po’ distratta, magari entro in una stanza e poi me ne dimentico il motivo, per due volte ho perso le chiavi di casa, ma non sono così fuori di testa da dimenticarmi di aver scattato delle foto seminuda. A casa quella mattina decisi di non dire nulla, riuscii a malapena a ingoiare mezza tazza di latte con un biscotto e poi come sempre sono salita sul diciannove che mi lascia davanti alla scuola. Forse era tutto uno scherzo, probabilmente un malinteso del cavolo che si sarebbe chiarito nel giro di pochi minuti. Ripensai alla famosa frase di papà: “male non fare, paura non avere”, la recitai a mezza bocca mentre dai vetri appannati dell’autobus mi scorrevano di fronte agli occhi le solite immagini incasinate della città. Auto incolonnate, semafori, gente infreddolita sui marciapiedi e qualche coraggioso in bicicletta. Certe cose io le avverto ancora prima che accadano, penso si chiami sesto senso, resta il fatto che appena varcato il portone della scuola ho sentito una specie di fitta allo stomaco, quasi un’ondata indefinita di paura o meglio di angoscia e infatti l’istinto non si era sbagliato. In classe già tutti sapevano, quelle famose foto erano l’argomento del giorno e a quanto pare la notizia aveva già fatto il giro dell’istituto. Erano comparse in varie chat, poi inevitabilmente qualcuno le aveva postate su un social e nel giro di pochissimo erano diventate virali. È stato Max, un mio compagno di classe fin dai tempi delle elementari, a farmele vedere. Max non è cattivo ma è un po’ sempliciotto, infatti rideva di gusto senza rendersi conto della gravità dell’accaduto. Mi piazzò sotto il naso il suo smartphone e io, difficile trovare le parole giuste, improvvisamente mi trasformai in una statua di sale, ebbi quasi l’impressione che il sangue avesse smesso di circolarmi in corpo. Indubbiamente nella foto io ed Eli eravamo seminude e anche quella in spiaggia con le tette al vento ero proprio io. Un lampo e tutto divenne chiaro. Effettivamente io ed Eli ci eravamo fatte un selfie in palestra usando l’autoscatto perché ci piaceva avere un’immagine intera, ma eravamo con il body, mentre la foto al mare l’aveva scattata Tiziana, altra compagna che però non frequenta la mia classe. Ricordai benissimo anche il colore del bikini che avevo indossato quel giorno! Qualcuno, dunque, aveva in qualche modo trasformato e manomesso quelle normalissime foto. Ma come era riuscito a compiere una vigliaccata del genere? Iniziarono a frullarmi per la testa mille pensieri e solo in quel momento arrivò Eli, ancora doveva suonare la campanella della prima ora. Eli fece appena in tempo a dirmi: «Hai visto che casino? Mi ha appena chiamato mio padre dal lavoro, qualcuno gli ha detto di queste foto ed era infuriato!» Ricordo quella mattinata come fosse un brutto sogno, mi sembrava tutto impossibile e, nonostante l’angoscia, riuscii persino a prendere sette in una interrogazione d’italiano. Avrei voluto gridare al mondo che io ed Eli eravamo vittime di un terribile malinteso e che bisognava individuare il colpevole e punirlo. Continuavo a pensare a quelle foto e a quante persone se le stavano ritrovando sotto il naso senza conoscere la verità. La rabbia si trasformò in un mal di testa feroce e allo stesso tempo durante l’intervallo mi ritrovai a piangere per la frustrazione, io ed Eli non sapevamo come difenderci da tutto quel fango che ci era stato riversato addosso. Come immaginavo appena uscita da scuola il telefono ha cominciato a squillare, era mamma che, senza darmi neppure il tempo di parlare, me ne ha dette di tutti i colori. Mi chiedeva se fossi consapevole della stupidata che avevo fatto e di quanto ci voglia poco a rovinare la reputazione di una persona. Riuscii solamente a dirle che a casa avrei chiarito tutto. Mentre ero in piedi, schiacciata come una sardina all’interno del solito diciannove, mi resi conto con orrore che quelle foto, una volta postate, le avrebbero potute vedere e commentare in qualsiasi angolo del pianeta, altro che solo all’interno della classe o del mio liceo. Mi ritrovai nuovamente a fare i conti con un’ondata di paura generata dall’impossibilità di fare qualcosa per fermare quel processo bestiale. Ho infilato la chiave nella porta e sono entrata in casa, anche papà era rientrato dal lavoro per comprendere meglio che cosa stesse accadendo. Fortuna vuole che abbia dei genitori molto comprensivi e sempre disposti ad ascoltarmi, quindi nel giro di pochi minuti sono stata in grado di chiarire la situazione. Mentre stavamo pensando a come agire ha chiamato il papà di Eli preoccupatissimo, anche lei aveva spiegato per filo e per segno l’andamento dei fatti. A quel punto, avendo compreso la dinamica assurda di quella storia, ci siamo domandati chi potesse essere stato l’autore di un gesto così grave e, soprattutto, per quale motivo avesse deciso di agire in maniera così subdola. Le foto, almeno questo eravamo riusciti ad appurarlo, le aveva sicuramente scaricate da un social, visto che entrambe erano state postate da me ed Eli nei mesi precedenti. Solo allora mi è venuto in mente un nome, Fuz. Lui ha compiuto da poco diciotto anni e qualche settimana prima aveva avuto una mezza discussione con me ed Eli, era per una festa alla quale avevamo deciso di non invitarlo perché è troppo grande e poi è uno che combina sempre casini. Naturalmente era solo un’ipotesi, ma non esistevano altre persone che potessero in alcun modo avercela con me ed Eli. Di certo lui non perdeva occasione per descriverci come due ragazze facili, insomma, ci siamo capiti. Mentre eravamo presi dalle nostre supposizioni ed io continuavo a formulare delle ipotesi plausibili, a rendere ancora più pesante la situazione si è aggiunta anche la telefonata della Dirigente dell’istituto scolastico che chiedeva spiegazioni in merito all’accaduto. Mamma con grande pazienza le ha spiegato che noi eravamo del tutto estranee a quelle foto ed ora stavamo tentando di trovare una risposta plausibile ai tanti come e perché. I profili di Fuz, almeno quelli collegati ai principali social, non sembravano contenere nulla che potesse far pensare ad un suo coinvolgimento, e comunque la scelta più giusta l’ha proposta mamma: «Andiamo subito dalla Polizia Postale (da qualche tempo si chiama COSC, Centro Operativo per la Sicurezza Cibernetica) e sporgiamo denuncia, sicuramente ci sapranno consigliare al meglio». Sagge parole che mi hanno immediatamente sollevato, perché in certi momenti ti senti più solo di un cane abbandonato a Ferragosto. Tempo mezz’ora e abbiamo varcato il portone del COSC che, neppure a farlo apposta, si trova a meno di un chilometro da casa nostra. Siamo saliti al secondo piano dove ci sono gli uffici e dopo neppure cinque minuti ci ha ricevuto una signora molto gentile in divisa che mi ha chiesto di raccontare l’intera storia sin dall’inizio. In meno di un quarto d’ora le ho spiegato tutto quello che era accaduto senza trascurare neppure una virgola e poi, con vergogna, anche se in teoria non avrei avuto nulla di cui vergognarmi, le ho mostrato le due foto dello scandalo. Dopo pochi secondi, allargando le foto, la signora in divisa ci ha mostrato che seppur ricostruita bene, era possibile vedere che si trattava di un falso. «Purtroppo a occhio nudo quasi nessuno si accorge che si tratta di un deepfake, quindi il danno d’immagine è inevitabile». «Ma come hanno fatto a realizzarla così bene? Sono espertissimi!» Ha detto papà alla signora in divisa che abbiamo scoperto essere un Commissario Capo. «Non c’è da essere particolarmente esperti. Si tratta di intelligenza artificiale. L’autore si è semplicemente affidato ad una app che in meno di un minuto riesce a “spogliare parzialmente” il soggetto che si trova nella foto. Inizialmente questo servizio è gratis e poi diventa a pagamento, naturalmente non si tratta di un qualcosa gestito in Italia. Loro la spacciano come una possibilità di realizzare qualcosa di innocuo o di scherzoso, ma ovviamente, come ben sapete, qui di scherzoso non c’è veramente nulla». «Ma chi utilizza tutto questo – ha aggiunto mamma – sta commettendo un reato immagino!» La risposta del Commissario Capo è arrivata decisa: «Dipende signora, usare quel bot di per sé non costituisce reato, ma bisogna vedere come viene poi utilizzato». «Mi scusi – ha aggiunto papà – ma io non sono un informatico, cosa sarebbe questo bot?» «Ha ragione – ha risposto con il sorriso il Commissario Capo – sono termini tecnici che noi usiamo quotidianamente ma è sempre meglio spiegare. In realtà è la semplice abbreviazione di robot, in parole povere chi lo utilizza sta ricorrendo a un programma di intelligenza artificiale». «Ma nel nostro caso – ha aggiunto mamma con convinzione – il reato è stato commesso!» «Certo signora! Questo non è un semplice fotoritocco, in realtà non è neppure corretto definirla un’app, è un sistema accessibile solo attraverso un canale di messaggistica, si tratta di un bot e cioè, come vi spiegavo, di un sistema automatico che crea dei deepfake. Come potete ben vedere non siamo di fronte al banale copia incolla di un viso su di un corpo nudo, l’intelligenza artificiale è in grado di mantenere le proporzioni del corpo ma anche il colore della pelle». «E adesso noi cosa possiamo fare?» Ha chiesto papà in maniera molto pragmatica. «Sicuramente sporgere denuncia, ora vi accompagno da un mio collega, invece per quanto riguarda quel ragazzo soprannominato Fuz, beh, magari ci scambio due parole, può essere comunque utile per avere altre informazioni». Devo dire che quando siamo usciti dalla sede del COSC eravamo tutti più sollevati, intanto però le foto continuavano a girare. Sia io che Eli attraverso i nostri profili abbiamo spiegato in maniera chiara l’andamento dei fatti, ma con grande amarezza ci siamo accorte che è molto più potente il casino scatenato da una foto scandalosa, rispetto al rumore provocato da una smentita. Non esiste proporzione, si tratta di un rombo di tuono contrapposto al ronzio di una zanzara. La cosa incredibile riguarda gli haters, quelli che provano gusto ad offenderti fregandosene di appurare la verità e di leggere una smentita. Per loro tu rimani un semplice bersaglio da colpire e possibilmente affondare. La notizia corretta è persino finita sui giornali “Due ragazze vengono spogliate grazie all’intelligenza artificiale. Le loro foto finiscono online e scoppia lo scandalo”. Questo era il titolo del giornale ed anche altre testate avevano riportato la notizia ma evidentemente sono pochi quelli che le leggono, la maggior parte della gente si era limitata ad osservare quelle foto false e a giudicarle, mai avrei immaginato che il mondo potesse essere così superficiale e ingiusto. Purtroppo, Eli l’ha vissuta anche peggio di me e per giorni e giorni se ne è rimasta chiusa in casa, io ed altre compagne l’andavamo a trovare cercando di spronarla, ma lei sembrava sprofondata in una sorta di apatia totale, quasi che ci osservasse rimanendo confinata all’interno di una dimensione parallela. A scuola tutto per fortuna era tornato quasi subito alla normalità, ora la domanda che tutti si ponevano era chi potesse essere stato a compiere quel gesto idiota e la risposta è arrivata del tutto inaspettata un pomeriggio mentre avevo appena finito gli allenamenti di fioretto. Ero nello spogliatoio fresca di doccia quando il telefono ha iniziato a squillare. Era papà. Tutto abbastanza normale, con papà ci sentiamo più volte al giorno, ma appena ho risposto dal tono della sua voce ho compreso che era accaduto qualcosa d’importante. «Patrizia, sono appena uscito dagli uffici del COSC, beh, la sai una cosa? Hanno scoperto chi è stato a divulgare le foto, avevi ragione, è stato Fuz! Il Commissario Capo qualche giorno fa lo aveva incontrato in maniera informale, chiedendogli se sapesse qualcosa di tutta questa brutta storia. Inizialmente lui ha negato dicendo di non essere neppure a conoscenza del fatto, ma poi quando il Commissario Capo gli ha spiegato che per fortuna avevano degli elementi e che presto, attraverso delle chat, sarebbero arrivati al colpevole, lui ha confessato tutto». Ascoltai in silenzio e, debbo dire la verità, mentre papà continuava a parlare io ho provato una gioia profonda, perché è intollerabile subire un’ingiustizia e sapere che il responsabile rischia di passarla liscia. Lo scorso venerdì Fuz, attraverso un’e-mail indirizzata a me e ad Eli, ci ha chiesto scusa per quella sciocchezza e per tutto il dolore che ci ha causato. Si è detto pentito ed io gli credo, dato che forse neppure lui era conscio di quanto potesse essere grave intaccare la reputazione di due ragazze attraverso il web. Non è una ragazzata, io preferisco non pensarci, ma chissà quanti di quelli che hanno visto quelle foto non sapranno mai che si è trattato di un falso realizzato grazie all’intelligenza artificiale. Per quella gente io ed Eli rimarremo sempre due ragazze facili e frivole. Purtroppo, la realtà è questa. Comunque, le sue scuse non sono servite ad evitargli un risvolto giudiziario, io non m’intendo di legge, ma Fuz, o meglio i suoi genitori, dovranno pagarsi un avvocato e vivere l’esperienza di trovarsi di fronte a un giudice. Anche la scuola sembra che sia intenzionata a prendere dei provvedimenti seri nei suoi confronti. Lo so che si tratta di una brutta storia, ma forse è bene che io ve l’abbia raccontata proprio per questi motivi e soprattutto non si tratta di una favola dal lieto fine. Io ed Eli certe paure ce le porteremo addosso come una seconda pelle e per Fuz la situazione è anche peggiore. L’altra sera papà a cena ci ha spiegato i possibili reati che ha commesso Fuz e non si tratta di cose di poco conto: diffamazione, furto d’identità digitale, diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti. Addirittura, è possibile che il giudice configuri nei suoi confronti anche il reato di diffusione di materiale pedopornografico, in quanto non dobbiamo mai dimenticare che io ed Eli siamo minorenni. Mi verrebbe da dire, e da pensare, che l’unico lieto fine di certe storie si lega all’inizio del tutto, perché prima di agire bisognerebbe sempre ragionare sulle conseguenze che possono essere provocate da situazioni del genere. Al dolore generato ad altre persone, ai guai giudiziari. Ora Eli sta meglio, ma per un periodo ho pensato che non ce l’avrebbe fatta a reggere questa situazione. Per fortuna è andata bene e ora ha anche un ragazzo con cui si trova in perfetta sintonia. L’amore aggiusta tutto. L’amore però non è solo quello che ci fa battere il cuore per un’altra persona, l’amore vero si lega al rispetto degli altri e, per quanto possa sembrare scontato cari amici, chi rispetta gli altri rispetta innanzitutto sé stesso.