La storia di

Una mamma

Ci sono troppe donne che subiscono violenza e non parlo solo di abusi fisici, ma di violenze verbali che nascono sui social e preferiscono rimanere in silenzio.

Ascolta questa storia raccontata da Luca Pagliari

«Il posto migliore dove piangere è fra le braccia di una madre»
(Jodi Picoult)

Estate 2023, decido di mettermi in viaggio verso questa città del nord, non sono neppure tre ore di strada. La storia di Gaia, 19 anni, e di Gabriella appartiene a quel genere di vicende che ho sempre sentito il dovere di raccontare. Per noi di #cuoriconnessi rappresentano un po’ l’anima dell’intero progetto e della sua filosofia. Non era stato complicato contattarle, al telefono avevo spiegato a Gaia il senso di #cuoriconnessi; nessuna intervista legata alla cronaca, nessuna speculazione giornalistica, ma solo il desiderio di regalare a chi segue il progetto, la possibilità di comprendere quanto sia facile scottarsi con la rete. La sua risposta era stata immediata: «Certo che io e mamma racconteremo la nostra storia, il progetto è bello e ci offre la grande opportunità di aiutare altre persone, è importante dare un senso a ciò che abbiamo vissuto. Io e mamma nel nostro piccolo ci siamo».

C’è il sole e la giornata è sorprendentemente fresca tenendo conto che siamo nel cuore dell’estate. Bella questa città, tanta storia, buon cibo, molto verde e l’aria pulita, ma la provincia è anche altro, è terreno fertile per le maldicenze velenose che di bocca in bocca o di chat in chat attraversano i vicoli infilandosi con perfidia dentro le case. Facile emettere giudizi, ancora più facile etichettare e condannare. Quando tutto questo avviene attraverso il web l’effetto è dirompente, scivoliamo dentro un medioevo digitale, la tecnologia finisce con il sostituire i roghi dove presunte streghe venivano bruciate.

Gaia l’ho già ascoltata a lungo, abbiamo approfondito il suo percorso che è simile a un calvario e, mentre ci avventuriamo per i vicoli di una città colorata da turisti accaldati, ho una specie di intuizione che poi si trasforma in una certezza: è necessario raccontare questa storia utilizzando anche un altro punto di osservazione. Vorrei descriverla attraverso gli occhi e il cuore di una mamma. Un genitore come riesce ad
attraversare una tempesta del genere? Quale strategia deve adottare per proteggere una figlia scivolata nella parte più oscura del web? In questi cinque anni trascorsi alla velocità della luce abbiamo notato che i libri di #cuoriconnessi sono planati un po’ ovunque, non sono stati letti solamente da studenti nell’ambito di progetti scolastici. Spesso le pagine dei primi quattro volumi sono state sfogliate da genitori che avevano il desiderio di capire in quale universo orbitassero i propri figli o da docenti che a loro volta, varcato il portone di casa, si trovavano a vestire i panni di madri e padri. Emozionante trovare copie di #cuoriconnessi nelle biblioteche di tante scuole ed è stato ancora più sorprendente incontrarlo nella sala d’attesa di un medico o in metropolitana tra le mani di un passeggero. I libri non hanno confini, vivono
di luce propria e sanno attendere con pazienza l’attimo in cui qualcuno sia disposto ad ascoltarli. Allora eccomi qui, pronto a raccogliere l’esperienza di questa mamma che si è trovata a fronteggiare un nemico subdolo e impalpabile che si nasconde tra le pieghe della rete.
È una donna intelligente Gabriella, ma prima ancora di questo è una madre. Non lo è solamente per una questione di sangue ma per un fatto di anime sovrapposte, di sguardi complici, di abbracci e di condivisione totale dell’esistenza. Lei e Gaia. Bello osservarle, perché una madre e una figlia ci rimandano a qualcosa di eterno e di pulito. Di forza e unione che niente e nessuno sarà mai in grado di scalfire.
Gabriella non ha paura di voltarsi indietro e il suo racconto prende il via da quando tutto ebbe inizio, esattamente nel momento in cui il disagio si è silenziosamente infilato nell’esistenza di questa famiglia.

Gaia, al tempo neppure quindici anni, che non ha più voglia di andare a scuola, Gaia che non studia e che non parla, sorrisi e spensieratezza diventano nel giro di un attimo solo un vecchio ricordo. Non era stato complicato per Gabri comprendere che in quella figlia bella come il sole qualcosa si era rotto. Ma cosa? Quella casa dove gli amici di Gaia entravano e uscivano senza sosta tra risate e voglia di vivere era improvvisamente diventata deserta e silenziosa. Il mondo di Gaia lentamente si era ristretto trasformandosi in una cella che aveva le dimensioni della sua cameretta, e dire che quella stanza un tempo era stata teatro di giochi e di colori.

Tante lacrime versate e tanta rabbia riversata proprio addosso a quella mamma che cercava disperatamente un varco per accedere al cuore e alla mente della sua Gaia.
In fin dei conti a quindici anni si attraversano le tempeste adolescenziali ma era chiaro che dietro a tanto dolore si nascondeva qualcosa in più. Ma cosa? Gabriella quando era possibile tentava di intercettare gli occhi della figlia cercando risposte ed ogni volta era un tuffo al cuore. In quello sguardo c’era qualcosa che ricordava la morte di un fiore.
Nessuna luce, solo oscurità. Alla fine, la verità emerge. Gaia si lascia andare e parla di alcune foto compromettenti che il suo ex ragazzino avrebbe diffuso online. Classico caso di revenge porn. Era appena
adolescente quando si era concessa all’obiettivo, maledetta ingenuità e adesso eccola lì, in balìa di un mondo cieco e crudele.

Gabriella inizialmente ha un moto di rabbia verso quella ragazzina che è più importante di qualsiasi altra cosa al mondo, poi capisce che non è tempo di giudizi ma di vicinanza, ora Gaia dovrà essere tutelata e protetta in tutto e per tutto. Si. Lei è subito al suo fianco.
Io e Gabriella passeggiamo in un viale alberato semi deserto, nessuna fretta, le parole escono da sole e non ho neppure bisogno di fare troppe domande.
«Ero confusa, impaurita ma determinata – racconta Gabri – senza una figura paterna vicina è tutto molto più complicato, eravamo ancora più esposte e vulnerabili. Poi sono arrivate le telefonate e lì ho scoperto quanta ipocrisia e quanta cattiveria si nascondono nel cuore della famosa provincia che in tanti descrivono come tranquilla e felice».
Il telefono di Gabriella in quel periodo è bollente, chiamano finti amici che vogliono solo conoscere i dettagli della storia per poterli poi riportare ad altri, telefonano persone che la invitano a controllare meglio Gaia o che dispensano consigli su come si educa un adolescente. «Non le sei stata dietro abbastanza», «ma da chi ha preso tua figlia?», «ora siete in un bel guaio!», «quella ragazzina non ha testa!» Chiamano in tanti per sapere e giudicare, ma la solidarietà vera è merce rara e questo Gabriella e Gaia lo imparano in fretta.

Storia vecchia come il mondo, ed ecco ancora una volta che per i moralisti da due soldi, gli ignoranti e i perfidi di professione, Gaia non è la vittima di questa vicenda oscura, come peraltro dice la legge, bensì la colpevole.
Ora sono in mare aperto e bisogna tracciare una rotta che le possa guidare fuori dalla tempesta. Il grande problema è Gaia. Sta malissimo, cambia scuola, i compagni non l’ammettono neanche nel gruppo whatsapp della classe e il suo disagio aumenta in maniera esponenziale. Per una madre è straziante vedere quella figlia dai lineamenti delicati soffrire così tanto. «È un dolore che non riesco a descriverti, Luca.
È qualcosa che ti colpisce la pancia e ti dilania senza concederti tregua. Neppure un minuto. Neppure la notte». Gaia è sempre più instabile, reagisce e contrattacca, istintivamente aggredisce prima di essere aggredita. Tutto per quelle maledette foto. La cosa migliore, pensa Gaia, è smettere di studiare e uscire dal mondo. Un giorno confida questa sua decisione ad un’amica di famiglia e questa signora prima l’ascolta e poi le dice «tu non abbandoni gli studi, devi tornare a scuola, costi quel che costi». Quella è stata la salvezza di Gaia, grazie a quella cara amica della mamma riuscirà infatti a concludere le scuole superiori e a diplomarsi.

Mi viene naturale domandare a Gabriella se sia doloroso riaprire certe pagine e la sua risposta arriva diretta e senza tentennamenti: «Certe cose vanno dette perché bisogna sensibilizzare le persone in merito a questi temi. Se rimanessi in silenzio mi renderei complice di questo sistema, io invece voglio contribuire alla costruzione di un mondo migliore. Ci sono troppe donne che subiscono violenza e non parlo solo
di abusi fisici, ma di violenze verbali che nascono anche sui social, solo che a volte non si possiede la forza necessaria per venirne fuori. Molte si sono tolte la vita perché non sono state in grado di reagire».

Ci sediamo all’ombra di un albero nel cuore del parco e Gabriella mi racconta tutte le sue paure, perché nei momenti più neri l’idea che sua figlia potesse non reggere rappresentava una specie di incubo che la inseguiva ovunque. La sola cosa possibile era rimanerle accanto, farle comprendere che loro due non sarebbero mai state sconfitte, ma quanta fatica, quante lacrime versate di nascosto e quanti sorrisi rassicuranti ha dovuto regalare a Gaia, mentre in realtà aveva il cuore dilaniato. «Di una cosa sono certa Luca, quei suoi lineamenti delicati, quella sua bellezza oggettiva, hanno scatenato ancora di più la cattiveria della gente. L’invidia è un male vecchio come il mondo e forse più che un male la paragonerei ad un veleno che corrode la propria esistenza e quella degli altri. Un invidioso non potrà mai essere felice per definizione».

Mentre Gabri parla, le cicale con il loro frinire allegro ci tengono compagnia. Unico discreto sottofondo a questa nostra chiacchierata fluida che procede senza uno schema preciso. Un altro aspetto che mi arriva dritto è la fierezza di questa mamma che non ha mai pensato di doversi nascondere, proprio come sua figlia: «Sono orgogliosa di Gaia, ha commesso un errore, si è assunta le sue responsabilità, lo ha pagato a caro prezzo ma ora ha smesso di sentirsi sbagliata. Adesso basta, è passato del tempo, è quasi una donna e giustamente gira a testa alta, bisogna voltare pagina. Il problema grande è che tanti adolescenti, soprattutto ragazze, vivono queste situazioni e rimangono prigioniere della vergogna e delle paure. Vite rovinate. L’amore e la protezione della famiglia sono centrali, quello è il primo luogo dove trovare riparo dalla tempesta. Bisogna parlare e denunciare, questo è il messaggio più importante che voglio far passare. Se online o offline subite ingiustizie e discriminazioni, parlate e denunciate».

Senza un motivo preciso domando a Gabriella come fosse Gaia da bambina, immediatamente si illumina e mi descrive una bimba che aveva una matassa di capelli biondi, curiosa, svelta nell’apprendere e sempre col sorriso sulle labbra.
«L’abbiamo cresciuta io e il nonno paterno – bello respirare il suo orgoglio di mamma e poi dopo una breve pausa di riflessione Gabriella prosegue – soprattutto sono felice che sin da piccola abbia assorbito da me un concetto importante: mai giudicare senza sapere. Per Gaia il rispetto dell’altro e l’uso ponderato delle parole sono pane quotidiano e dire che proprio lei, così attenta a non calpestare la sensibilità altrui, è stata vittima dei giudizi più crudeli e superficiali, ma questa è la vita, questo è anche uno degli aspetti più deleteri della provincia».

Vorrei aggiungere che gli haters, il parlare senza sapere, il giudizio crudele e superficiale, purtroppo non sono figli solo della provincia, ma rappresentano la vera piaga della comunicazione online e questa non conosce confini. Uno dei compiti di #cuoriconnessi è proprio quello di educare i ragazzi e non solo ad un uso costruttivo e civile dell’universo online. Rieducarsi al senso delle parole e acquisire la consapevolezza della loro forza. Le butto lì una domanda che mi attraversa la mente e le chiedo se sua figlia a causa
di quella terribile vicenda non sia cresciuta troppo in fretta, anche questa volta mi risponde con una lucidità e un equilibrio che mi sorprendono: «Nel mezzo della tempesta lei ha sofferto molto, è cresciuta dopo, quando ha iniziato a metabolizzare il tutto. Inizialmente era troppo concentrata sul suo dolore e per me non poter fare quasi nulla era sconvolgente. Sai, una madre se potesse in certi attimi vorrebbe caricarsi sulle spalle tutti i dolori di un figlio, ma questo non era possibile. Io c’ho messo tutto il mio amore, poi c’è stata la psicoterapia ma soprattutto il mio esserci in maniera incondizionata penso sia stato fondamentale. Ero sempre lì anche quando diventavo il suo capro espiatorio, anche quando mi insultava o non mi rivolgeva una parola. Lasciavo che se la prendesse con me, l’importante era che quel suo modo di sfogarsi la facesse sentire meglio. A volte devi mettere da parte ciò che è giusto e ciò che è ingiusto e concentrarti solo sul risultato finale che in questo caso era scongiurare di perdere mia figlia. Quella, tra le tante battaglie, è stata la più importante della mia vita.
Gabriella va avanti con il racconto e mi spiega che giorno dopo giorno, con enorme fatica Gaia è stata capace di riacquistare serenità ed equilibrio. «Il tempo come sempre sistema tutto – aggiunge Gabri – anestetizza il dolore e ci distrae con nuove pagine».

Inevitabilmente le domando di parlarmi dell’ultimo capitolo di questa vicenda: «Pensavamo fosse tutto finito, erano trascorsi anni da quel periodo – dice Gabri – fino a quando Gaia si è trovata a rivivere una situazione analoga, solo che questa volta ad essere finita nel baratro era una delle sue amiche più care. Sapere che mia figlia ha letteralmente preso in mano la situazione mi riempie di orgoglio, ha fatto il suo dovere fino in fondo senza voltarsi mai dall’altra parte.
Una sera è tornata a casa, mi ha raccontato tutto e poi ha concluso così il suo discorso: Mamma, io le ho detto “conta su di me” perché da soli non se ne esce da queste storie.
L’ho abbracciata a lungo. Sì, questa è la figlia che ho sempre desiderato, e cioè un essere umano capace di condividere il dolore altrui e se possibile di aiutare».
«Gaia con uno sforzo enorme è riuscita a convincere l’ex della sua amica a non diffondere un video hard e alla fine lui l’ha quasi ringraziata, è stata molto brava e persuasiva, Luca. Perché poi quel materiale finisce in rete? Revenge porn? Semplice superficialità? Voglia di mostrare quei corpi come fossero trofei di caccia? Non esiste alcuna motivazione accettabile. Le ragazze sono state ingenue e sicuramente imprudenti, ma loro, ripetiamolo ancora una volta, sono le vittime e non le colpevoli. Il peso del giudizio a volte, non dimentichiamolo, può schiacciarti fino alla morte».
Mentre Gabriella mi spiega meglio le dinamiche di questo nuovo capitolo della storia, rifletto sul fatto che purtroppo, una volta che certe immagini se ne scappano sul web, nessuno potrà mai garantirci che prima o poi non torneranno online. È una condanna, è una malattia che non potrà mai essere debellata definitivamente. La sola cura possibile è denunciare, rimuovere quelle immagini e incrociare le dita, perché in un qualsiasi angolo di mondo, tra un mese o forse dieci anni, con un semplice clic qualcuno potrebbe riaprire quella ferita. Per questo prevenire è fondamentale.
«Caro Luca, sono contenta di questa nostra chiacchierata perché è importante che certe storie vengano raccontate all’interno delle scuole e poi analizzate in profondità. Non basta la cronaca, non basta un telegiornale. Dico ai genitori di essere sempre molto attenti a ogni cambiamento, anche minimo, nelle abitudini di un figlio. Io forse ho aspettato troppo, per mesi ho pensato che i silenzi di Gaia potessero essere imputabili all’instabilità dell’adolescenza e invece non bisogna far trascorrere troppo tempo. È necessario approfondire subito, cercare un varco, aiutarli a vomitarci addosso il problema vero. Può non essere piacevole ma altre strade non ne vedo».

Vorrei chiedere altre cose a questa mamma che è speciale esattamente come lo sono tutte le madri del mondo, però si è fatto tardi, le cicale continuano a frinire e la città continua a sonnecchiare in questa mattinata di sole e di parole.
Mentre ci alziamo da queste sedie di ferro che sono all’esterno di un bar deserto, mi viene spontaneo domandarle chi sia oggi sua figlia e immediatamente il suo volto si illumina regalandomi uno di quei sorrisi che già dicono tutto:
«Gaia è stata bravissima, oggi ha scoperto chi è veramente. È consapevole della sua forza e della sua intelligenza.

Ha smesso di avere paura e di sentirsi sbagliata. Ha recuperato la sua autostima. – Gabri si ferma un istante, quasi volesse ulteriormente sottolineare il concetto – Pensa che dopo essersi diplomata non si sentiva all’altezza di frequentare l’università, per un anno ha lavorato in un bar e tra l’altro si è dimostrata una bravissima cameriera, complice il suo sorriso. Beh, Luca, oggi mia figlia ha deciso di proseguire gli studi. Tra poco inizierà questa nuova avventura. Io mia figlia l’ho vista nascere due volte».

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